Dal ciclismo allo sci

Storia materiale dello sport a cura di
Sergio Giuntini

Giro d'Italia

La storia materiale dello sport – dalle attrezzature all’abbigliamento, dall’industria di biciclette, tennis, sci alle reti di negozi specializzati ecc. – sconta in Italia dei vistosi ritardi, malgrado le sue manifestazioni d’uso e consumo siano “veicolo di messaggi più o meno diretti ed espliciti, coagulo di significati sportivi ed extrasportivi” dal notevole impatto, e i semiologi, riferendosi ai grandi marchi, abbiano mostrato come ognuno di loro sottenda una precisa idea di corporeità. Nike un “corpo forma plastica”, Puma un “corpo organico”, Arena un “corpo sostanza”, Adidas, Asics, Champion un “corpo macchina”.

“A caccia con Aldo Parodi e suo cognato Italo, mantovano di aspetto mite.
Aldo Parodi parla con la còccina, Italo con la e muta dei padani. Si sfottono bonariamente; gareggiano a suon di coppioli. Seguendoli, mi si ammollano le gambe, ma salvo l’onore venatorio della mia Bassa con alcune buone stoccate alle starne”

Gianni Brera, La Bocca del Leone, in “Guerin Sportivo”, 25 novembre 1968

Sport e storia materiale:
gli studi di felice Fabrizio e Domenico Elia

Tra i pochi che nel nostro Paese si sono cimentati con questa materia figura Felice Fabrizio. A lui dobbiamo un raro tentativo di inserirla all’interno di un mirabile affresco sulla formazione del sistema sportivo dal 1861 al1914. Rispetto al settore industriale, sottolineando il ruolo-guida recitato da quello della bicicletta e dell’auto, Fabrizio ne evidenziava le due tipiche anime “del capitalismo italiano, in precario equilibrio tra rassicuranti barriere protezionistiche e avventure imperialistiche, tra polverizzazione e concentrazione degli apparati produttivi, tra ritardo e innovazione”.

Per il ciclo sino agli anni novanta dell’Ottocento l’Italia dipese massimamente dai produttori esteri. Le officine erano di piccole dimensioni e garantivano una qualità mediocre. Solo nel 1910, allorché la produzione nazionale toccò le 220.946 biciclette, il mercato venne quasi interamente occupato dalla ventina di marchi nazionali, tra i quali la Bianchi, la Frera e la Wolsit la facevano da padrone costruendone oltre il 50 per cento.

1. L’industria milanese della bici tra 800 e 900

Un’ascesa sfolgorante per l’industria milanese che trovava un termine di paragone nella crescita progressiva del numero di biciclette circolanti a Milano: 13.433 nel 1900, 22.381 nel 1905, 39.978 nel 1910.
A Milano nel 1910 esistevano circa “250 ditte commercianti in cicli” numero che quasi raddoppiava i 137 esercizi – tra commerciali e produttivi – elencati dall’annuario
1898-1899 del “Corriere dello Sport – La Bicicletta”.
Da qui prima della fine del XIX secolo la centralissima via Dante era stata ribattezzata – per la densità di rivendite che la popolavano – la “strada del ciclismo” e in città si erano frattanto proposti diversi altri marchi prestigiosi.

via Dante
fushs

Nel 1914 al commendator Giovanni Tappella si deve la Fuchs, con sede in via Curio Dentato 5. Un marchio intimamente legato allo sviluppo di questo lavoro e alla vicenda dei Taffa, a seguito del matrimonio tra Italo e Gianpaola Tappella nel 1943. Fuchs che grazie a Fiorenzo Magni nel 1955 vinse anche un Giro d’Italia e soprattutto, con il primo abbinamento commerciale stabilito con l’industria di creme per il corpo Nivea, inaugurerà la storia della sponsorizzazione ciclistica e più complessivamente sportiva nel nostro Paese. L’accordo Tappella-Nivea risale difatti al 1954: grossomodo negli identici anni in cui nel calcio il Vicenza si legava alla Lanerossi (1953), il Monza alla Simmenthal (1955), il Torino alla Talmone (1958).
Un’autentica rivoluzione, la cui portata innovatrice si percepisce notando come al Tour de France gli abbinamenti vennero permessi solo nel 1962.

2. Racchette e sci di Milano e d’Italia

Capitale della bicicletta, Milano fra le due guerre lo fu altresì per quanto atteneva la produzione/commercializzazione degli attrezzi per il tennis e, più segnatamente, in relazione alla fabbricazione di racchette. Questo sport, che in Italia attecchì dapprima presso la colonia inglese di Bordighera (1878), venne trapiantato in città il 28 ottobre 1893, data di costituzione del Tennis Club Milano. Una pratica di nicchia caratteristica di una élite in prevalenza aristocratica come attestano il conte Alberto Bonacossa e il marchese Gilberto Porro Lambertenghi, appartenenti al Club e coautori nel 1914 del primo manuale interamente italiano.

L’opera di Bonacossa e Porro Lambertenghi, divenuti amici da studenti del Politecnico di Zurigo, induce a due considerazioni: ripropone l’accentuata dipendenza dal mercato estero e l’alto costo dei prodotti.
Un combinato che accresceva i “limiti di classe” congeniti a questo sport: e a riprova, solo nel 1913 un esponente del ceto medio riuscì ad apporre il proprio nome nell’albo dei vincitori del titolo sociale (di doppio, con il Bonacossa) del circolo milanese: George Stanley Prouse. Avvocato neozelandese che viveva facendo il venditore di articoli sportivi, ossia di materiali Dunlop.

Italo Taffa

“Non fate economia!
Ve ne pentireste poi amaramente. Scegliete le più care perché sono le migliori.
Una buona racchetta costa oggi dalle L. 35 alle L. 40 […] le marche più note sono:
la Doherty, la Driva Champion, la Mass, la Tate, la Davis, la Wilding”

Conte Alberto Bonacossa e marchese Gilberto Porro Lambertenghi

Che i primi racchettifici derivino da stabilimenti per la lavorazione del legno non deve stupire. Ciò valse anche per lo sci, uno sport la cui storia materiale presenta diversi punti di contatto con quella del tennis e non è raro che le stesse imprese realizzassero strumenti per entrambe. Contiguità tuttora convalidate dall’interscambio stagionale di praticanti, e nella temperie del fascismo, a suggellare questo connubio, si giunse a pubblicare una rivista emblematicamente intitolata “Tennis e Sport Invernali”.
A Milano, negli anni 20 si affermò il marchio di Aldo Simonis, specializzatosi in attrezzi di tipo economico e nella rigenerazione di palline usate e che cercò di sfruttare la stagione mussoliniana istituendo nel 1932 la prima Coppa del Decennale, e lanciando all’uopo la fatidica racchetta “Duce”.

Un aspirante giocatore, Benito Mussolini, a villa Torlonia a Roma si allenava con il tennista Mario Belardinelli, il quale però non riuscì mai a insegnargli il rovescio sentendosi lapidariamente rispondere: “Noi tireremo diritto”.

Monzeglio seguì il suo Duce pure a Salò continuando a tenerlo in allenamento, al punto che, in un ordine commerciale del 1944, questi pretese l’acquisto di 12 quintali di terra rossa per il campo da tennis voluto a villa Feltrinelli.
Mussolini-tennista calzava rigorosamente Superga, divenuta nel 1936 “azienda di comprensione fascista”

Nel 1936 Pietra e Prouse optarono per la produzione diretta in Italia di attrezzature tennistiche avviando l’Agenzia Milanese Articoli Sportivi Italiani (Amasi). Quel marchio Amasi, che fu il primo usato dall’impresa anteriormente a Maxima. Nasceva in tal modo la famosa Maxima Torneo che avrebbe fatto epoca e, nel periodo precedente alla guerra, i vari altri modelli dai nomi altisonanti di Excelsa, Indomita, Imperia, Intrepida, Invicta, Superba, Suprema. Un campionario di racchette fortemente connotate dall’ideologia e dalla retorica del Ventennio.

3. Un caso esemplare: Italo Sport

Willi Lutterotti

La suggestione insita nella storia materiale del fenomeno sportivo si trae al meglio dal vaglio di qualche case-history, come l’azienda milanese Italo Sport.
In quest’ottica, il dinamismo e le intuizioni che nell’industria della bicicletta avevano fatto la fortuna della Fuchs del suocero, non differiscono da quelle di Italo Taffa.
Nel suo personale percorso, Italo si affacciò sulla scena milanese con alle spalle un background simile al modello delineato in precedenza: ovvero tramite la produzione in simbiosi di attrezzi per il tennis e gli sport della neve.
Ebanista di origini mantovane, essendo nato a Correggioverde nel 1905, inizialmente egli installò a Milano (in via Nerino) un laboratorio di falegnameria che, assecondando la sua passione per gli sport (da assiduo cacciator-pescatore), si trasformò rapidamente in un punto di costruzione e riparazione di racchette tennistiche e di sci.

Tra le sue prime produzioni che incontrarono i favori del pubblico vi furono le palline da tennis Gim.
Per il loro lancio vennero coniati alcuni slogan accattivanti:

“La palla dal colpo sicuro”

“La palla per tutti”

vale a dire quelle ufficialmente riconosciute dalla Federazione Italiana Tennis per il 1945.

Completo SCI 1958

La stilizzazione del marchio ideato da una “grande firma” quale Boccasile e le modalità di sponsorizzazione ante litteram, con cui consolidare sulla falsariga del “prototipo” Fuchs-Nivea la propria forza di penetrazione nel mercato, confermano da subito due vocazioni tipiche di Italo Sport: ricerca del l’innovazione e massima cura tecnica ed estetica dei prodotti.

Un’altra intuizione felice si dimostrò l’ampliamento dell’offerta all’abbigliamento. Tant’è, nei tempi bui della guerra, dell’ottimo gabardine ottenuto a condizioni di favore determinò l’approntamento di una piccola sartoria altamente specializzata; e da essa derivarono a breve delle giacche a vento con cappuccio che intercettarono immediatamente i gusti della clientela.

Una straordinaria scommessa vincente, in quella fase di penurie e difficoltà di approvvigionamento di ogni genere, che segnava l’ingresso dei Taffa anche nel panorama di quella moda sportiva di cui sarebbero divenuti uno dei marchi maggiormente apprezzati per la qualità sartoriale e dei tessuti.

Dal 1948 divenne il fornitore ufficiale, restandolo sino al 1968, delle divise ufficiali da cerimonia e degli accessori utilizzati dalle rappresentative olimpiche italiane.

Daniela Taffa 1968

Olimpiadi estive di Helsinki (1952) e Melbourne (1956), i Giochi di Oslo (1952), Cortina (1956), Squaw Walley (1960), Innsbruck (1964) e Grenoble (1968). Ma non basta. Italo Sport, nell’identico spazio temporale, rifornì di vestiario e materiali anche svariate federazioni sportive nazionali e, su tutte, la Fin, la Fit, la Federazione Italiana Sport Invernali (Fisi), la Federazione Italiana di Atletica Leggera (Fidal), la Federazione Italiana Scherma (Fis), l’Unione delle Società Veliche Italiane (Usvi).

campioni

I Taffa avevano accompagnato gli sport invernali italiani sino agli ori di Zeno Colò (discesa, 1952), Luigi Conti e Alberto Dalla Costa (bob a 2, 1956), Franco Nones (30 km, 1968), Erika Lechner (slittino, 1968), Eugenio Monti e Luciano De Paolis (bob a 2, 1968), ancora Monti e De Paolis con Mario Armano e Roberto Zandonella (bob a 4, 1968) e ora dovevano necessariamente passare il testimone a uno sport-industria standardizzato e brutalmente concorrenziale, lontanissimo dai suoi canoni. Radicalmente diversa era la sua identità, più incline a valorizzare nell’abbigliamento un’artigianalità d’alta moda e, nell’attrezzistica, i minimi dettagli tecnici.

4. Un album di campioni a tutto tondo

L’archivio storico di Italo Sport, gelosamente custodito dalla figlia di Italo, Rossella Taffa, si presenta come uno straordinario repertorio di ricordi pubblici e privati nei quali la dimensione sportiva è declinata in molte delle sue curvature: dalle collezioni e sfilate d’abbigliamento ai materiali, fino ai rapporti professionali e di reciproca stima intrattenuti con una nutrita serie di enti federali, società, campioni e campionesse di rango nazionale e internazionale. Una “passerella d’onore” di atleti al vertice del nostro sport dagli anni trenta agli anni ottanta del Novecento.

Impossibile menzionarli tutti e, giocoforza, bisogna limitarsi a quelli che ricorrono con qualche frequenza o che, più di altri, svettano per l’eccellenza delle prestazioni di cui sono stati autori. Le loro gesta riaffiorano alla memoria attraverso due modalità in particolare: le fotografie con dedica e le altrettanto innumerevoli cartoline postali inviate ai Taffa per amicizia o ringraziamento dalle più disparate località in cui si trovavano a gareggiare. Un vero e proprio giro del mondo fatto per e con lo sport.

“A conclusione del complesso di operazioni inerenti la preparazione e la partecipazione italiana alle Olimpiadi di Londra, la Giunta Esecutiva del CONI ha espresso il suo elogio a tutti coloro che hanno collaborato al fine di ottenere il miglior rendimento, nonché la migliore presenza in campo della squadra azzurra. Mi è pertanto gradito esprimere a codesta Ditta, che generosamente ha voluto sobbarcarsi ad un compito particolarmente difficoltoso provvedendo a distribuire in tempo e con comprensione il materiale occorrente per la composizione delle uniformi, il compiacimento e il ringraziamento dello sport italiano”

Lettera che il Coni inviò a Italo Sport nel novembre 1948